Filippi & Gardumi - Strudel & Krapfen

.di Giorgio Dal Bosco

 

 

Ai giorni d’oggi, per prenderti a lavorare, quando e se ti prendono, ti chiedono se sai usare il computer. Una volta invece ti chiedevano se sei capace di andare in bici o almeno con il triciclo. A Mario Gardumi quel 18 giuno 1948, giorno in cui a 14 anni varcò le soglie del laboratorio della Pasticceria Molinari in Santa Maria a Trento, questa e non altra fu la domanda postagli dal -paron-.

 

Da -bocia- dei dolci conosceva a malapena il sapore, non certo la lavorazione. Ma si sa, il mestiere, per impararlo bene bisogna rubarlo. E l’ha rubato tra un centinaio di chilometri e l’altro percorsi in bici, con la gerla sulla schiena e un cesto in mano, su e giù da Santa Maria alle caserme di via Ghiaie, dalle 4 del mattino fino a mezzogiorno a portare Krapfen, trecce, panini all’uva, focacce agli spacci delle caserme. E nel pomeriggio ancora in città e dove occorreva.

Mario però non ha il rimpianto brontolone caratteristico degli anziani nei quali anche il sentimento diventa presbite, vedono cioè il bene e il bello solo nelle cose lontane. Anche perché – dice e ripete – ha avuto la fortuna di trovare subito sulla strada della vita un AMICO-SOCIO Bruno Filippi coetaneo con cui ha diviso fino all’anno scorso ben 55 anni di lavoro di cui 46 in società. Hanno formato la coppia Filippi-Gardumi, inscindibile, con cui, se mai ci fosse stato, avrebbero potuto fare e vincere il Trofeo Baracchi gastronomico dei Krapfen e Strudel: lui, mattiniero che tira a tutta la prima parte della giornata e Bruno che arriva in seconda battuta a concluderla.

 

Anzi, a proposito di ciclismo, all’epoca dei record dell’ora di Francesco Moser, Mario, suo supertifoso, non ha perso l’occasione di festeggiarlo a modo suo ricreando il velodromo messicano, teatro del primato, con un maxidolce di non meno di un metro di lunghezza e di mezzo metro di larghezza. Non c’é verso comunque di farlo parlare al singolare. Che mormori o brontoli, che bisbigli o borbotti – fuori da questi 4 modi di parlare non va – é sempre il noi a pilotare le poche cose che racconta. Poche, perchè tutto gli sembra naturale, ovvio, come il non aver mai avuto in mezzo secolo una discussione aspra con il socio, come l’avergli fatto umilmente da braccio senza sollevare dubbi che Bruno fosse la vera mente, come ancora, l’avere dipendenti tanto fedeli e soddisfatti, vedi Corrado, li da 37 anni, Gigi da 28 e Antonella da 20 (che proprio questo pomeriggio si sposa, auguri) tutti felici di lavorare con lui. No non con mi, col Bruno e con mi – sacramenta. Il fatto é che Bruno, da un anno a questa parte, ha mollato cedendo la sua parte al figlio di Mario. Lui adesso fa il -cococò- al figlio (ride di gusto nel dirlo). Un cococò suigeneris, visto che é comunque e sempre lui che alle tre del mattino é già in laboratorio (mai fat fadiga) che alle sei fa il giro con il Doblò a portare nei bar le brioches.

Si, i BAR. La coppia é anche testimone diretta dei tanti cambiamenti di costume della città. Li, dove nel 58 hanno rilevato con un capitale di 100.000 lire a testa il laboratorio (solo successivamente diventerà anche negozio) la Bolghera non era ancora quello che é adesso: era molta la campagna, si stava costruendo la chiesa di S.Antonio e a pochi passi -fervevano- (si fa per dire) i lavori del nuovo Santa Chiara, aperto dodici anni dopo e progettato sei anni prima. Hanno servito di paste e torte i bar più popolari, ma anche quelli borghesi di Trento: ALESSANDRA, ITALIA, ZURIGO, FIORENTINA, CITTÀ per citare soltanto i più noti. Eppoi quando mario era ancora -el bocia- di Molinari, sul triciclo ha portato tavoli, bicchieri, tovaglie. Li sistemava a casa degli sposi nel giorno delle nozze. Poi arrivava -el paron- con i dolci, il cacao per fare la cioccolata che preparava nella loro cucina. Quella era la festa del matrimonio -catering al triciclo proletario, che mediamente ci si poteva permettere a Trento nel dopoguerra.

 

Niente da fare. Da quel viso di una rotondità che i capelli corti quanto radi e le orecchie un tantino a sventola sottolineano, da quegli occhi ridenti dietro lenti rotonde anch’esse, da quei frequenti -en linea de massima- emblema e specchio della sua grande semplicità di carattere, non traspare la bnechè minima autopromozione per una vita professionale esemplare. Ringrazia, eccome, il Padreterno per l’abbondanza di salute che gli ha dato.

 

Mai mancata neanche quella volta, e raccontandolo non sa se ridere o piangere, che nella notte di un lontano Capodanno ha raggiunto a tutta velocità il Pronto Soccorso perché il socio Bruno, qualcuno gli aveva telefonato dall’ospedale, aveva fatto una grossa sbornia e stava male. Arrivato trafelato, lo aveva trovato, anziché terreo su una portantina, rosso e in piedi in sala d’attesa, ansioso di sapere come stava lui che, secondo analoga telefonata ricevuta poco prima, era ricoverato per una grossa sbornia. Corrado, il suo dipendente che sta maneggiando un grande impasto, si blocca e ride

E poi ride, e ride. –Conteghe de quele 4 torte dai– gli suggerisce

Tasi mona- lo rimbrotta scherzando. E ride sornione anche lui mentre Corrado si scompiscia. Alla fine salta fuori la storiella di quel signore elegante che un giorno arriva in laboratorio e ordina (costi quel che costi) quattro mega torte di –quelle che, mi é stato garantito, solo voi sapete fare: una Primavera, una Millefoglie, una Saint’Honorè e una Trentin Sacher, belle grandi, mi raccomando. Sono per il battesimo di mia figlia. Serve un acconto? – – No si figuri –

La domenica preventivata, il negozio é stracolmo, arriva il neo papà che sistema l’auto con il bagagliaio aperto all’insù, si fa aiutare a caricare le 4 torte e, in un attimo di distrazione dei pasticceri, salta in auto, innesta la marcia, sgomma e se ne va.

– E lei? – chiedo sforzandomi di non ridere. –Mi digo che ste ki a Trent le se ciama ciavade. En linea de massima-

 

 

Si ringrazia calorosamente Giorgio Dal Bosco per l’articolo scritto. Grazie.

 

Articolo tratto dal giornale: TRENTINO Soltanto noi, sabato 27 agosto 2005

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